3 gen 2022

 

Il Vello d'oro di Robert Graves. Un viaggio nel mito

La leggenda epica del Vello d'oro romanzata da Robert Graves

Che cosa fosse veramente il Vello d'oro - un mantello gettato sulla terra da Zeus quando era ubriaco, o un libro di pelle di pecora con segreti alchemici, oppure l'epidermide dorata di un sacrificio umano - nessuno lo sa. Ma Robert Graves è abbastanza sicuro che, qualunque cosa fosse il Vello d'oro, il viaggio di Giasone e dei suoi Argonauti è realmente avvenuto nella conquista di questo mitico manufatto. La sua storia romanzata mostra la leggendaria impresa come una delle spedizioni più sanguinose e turbolente di tutti i tempi. 

j. waterhouse giasone e medea



dipinto di J. Waterhouse, Giasone e Medea (1907)


«...I due rimasero per un po' a guardarsi, entrambi ugualmente stupiti che da vicino la bellezza ammirata da lontano aumentasse. A Medea sembrò che fossero due alberi: lei, un affusolato cipresso bianco, e lui una quercia dorata che la sovrastava. Le loro radici si intrecciavano sotto terra e i loro rami fremevano insieme al vento del sud. Il primissimo saluto che si scambiarono non fu una parola né una stretta di mano ma un tremante bacio; tuttavia un senso di pudore protesse il decoro dell'incontro e Giasone non calcò la mano per trattarla con la stessa confidenza con cui aveva trattato la regina Ipsipile al loro primo incontro.»



Ercole e Giasone, i divini gemelli Castore e Polluce, Linceo l'indovino, Orfeo il musico e tanti altri sono gli Argonauti, illustri membri dell'avventurosa spedizione che muove alla volta della Colchide per conquistare il Vello d'Oro. 

Giasone non immagina che una volta giunto in questo paese sconosciuto si innamorerà della perfida Medea. Con Ercole e i suoi compagni di bordo, Robert Graves diventa un greco antico, muovendosi tra semidei e dee, miti e mostri con una familiarità e una ricchezza di dettagli eruditi. 

Per reclamare il regno di suo padre, Giasone viene inviato in una missione impossibile: prendere il vello d'ariete d'oro che giace in un paese lontano, custodito da un drago. Qualcuno non lo vuole tra i piedi, così il re Pelia lo manda in una missione disperata sperando che non torni vivo, dato che la profezia diceva di non fidarsi di un uomo senza un calzare, Giasone si presentò al re senza un calzare. 


Equipaggio principesco

La maggior parte dell'equipaggio di 50 rematori della nave Argo erano principi reali, ognuno con un proprio talento speciale donato dagli dei. 

L'unica donna a bordo era una principessa: Atalanta, la vergine cacciatrice, che poteva correre più veloce di qualsiasi uomo in Grecia. Argo, che costruì la nave, era il miglior maestro d'ascia del mondo. 

Castore e Polluce, figli di Leda e del cigno (Zeus), furono campioni di pugili e domatori di cavalli. Nauplio era un navigatore senza rivali (suo padre era Poseidone, il dio del mare). Orfeo sapeva far ballare anche le pietre quando suonava la sua lira.

Ercole di Tirinto (o Eracle) era l'uomo più forte del mondo, avrebbe comandato gli Argonauti se non fosse che in alcuni momenti di follia uccideva amici e nemici allo stesso modo. 

Ma chi guidava la nave era Giasone di Iolco, un uomo che nessuno amava e di cui nessuno si fidava, ma che aveva un potere negato a tutti gli altri: le donne si innamoravano all'istante di lui. Anche il burbero Ercole era d'accordo che quella era una qualità che valeva tutto il resto. 

Sostenuti dalle benedizioni degli dei e dai venti propizi dell'equinozio di primavera, gli Argonauti salpano da Iolco. Giunti sull'isola di Lemno, abitata esclusivamente da donne, gli Argonauti si fermano generosamente per dare una mano alla semina primaverile. Nove mesi dopo, a Lemno nacquero alcune centinaia di bambini, di cui si diceva che non meno di 60 fossero l'immagine sputata di Ercole. 

Nell'isola di Samotracia, gli Argonauti vengono iniziati ai sacri misteri. La dea di tutto l'essere si accoppiò con il serpente Priapo e fu liberata da un toro. Allora le sacre ninfe balzarono sugli Argonauti li graffiarono e li morsero finché anche Ercole svenne. Da allora in poi, gli Argonauti brillarono di un debole alone di luce.

Gli Argonauti avanzano coraggiosamente attraverso il pericoloso Ellesponto ed entrano nel Mar Nero. Con loro sgomento, Ercole diserterà poi convocato a casa per svolgere un'altra delle sue potenti fatiche. 

«Con i saluti del re Euristeo di Micene, che ti chiede di tornare subito in Grecia e andare a pulire in un solo giorno le stalle sporche del re Augia di Elide»  

Il lavoro non richiese molto tempo a Ercole. In seguito rimase con la grande sacerdotessa della Lidia, che a suo tempo partorì tre gemelli maschi. In segno di gratitudine, la sacerdotessa insegnò a Ercole a filare, gli legò i capelli con nastri blu e lo vestì con abiti femminili, egli ne era felice e ammise confidenzialmente di aver sempre voluto essere una donna. 

Gli Argonauti continueranno il viaggio senza Ercole e giunti alla Colchide, sarà la dea Afrodite a metterci lo zampino. Farà nascondere suo figlio Eros dietro una colonna con il suo arco finché il bel Giasone non entrerà a grandi passi nel  palazzo del re della Colchide per incontrare Medea. 

Allora Eros mirerà al cuore di Medea, la figlia del re, che stava per essere data in sposa al re Stiro, la principessa "rimase senza fiato e lo stupore le ottenebrò la mente" perdutamente innamorata aiuterà Giasone a prendere il vello dal tempio di suo padre.

«Io lo amo, lo amo con una passione irresistibile. Non riesco a togliermi il suo volto dalla mente. Il dolore che sento mi pulsa nel petto, vicino all'ombelico e mi trapassa profondamente fino alla nuca, obliquo, come Se lo Spiritello dell'Amore mi avesse trafitto da una parte all'altra con una freccia scagliata dal basso. Ma come posso oppormi a mio padre? È a lui che devo obbedienza. Sarà annientato se, quando il re Stiro verrà a prendermi in moglie, non sarò più qui.»


Il viaggio più famoso della mitologia aveva raggiunto il suo obiettivo, ma l'autore impiegherà altre  pagine per concludere la vicenda nel viaggio di ritorno. 


Robert Graves con Il Vello d’oro (1944) trasforma il mito greco in una emozionante storia riccamente immaginata, portando il mondo antico vividamente reale. Egli crea una versione romanzata per lo più realistica della leggenda di Giasone e degli Argonauti e della loro ricerca del vello, incorporando una varietà di fonti antiche, alcune contraddittorie, altre frammentarie, mantenendo gli elementi che riteneva più sensati e assemblandoli in un'unica narrazione. 

La prosa può suonare asciutta alle nostre orecchie e la storia è densa di avvenimenti, ma manca quella caratterizzazione profonda che i lettori moderni probabilmente si aspettano. 

I personaggi sono abbozzati a grandi linee, ciascuno con uno o due tratti salienti che li mettono dentro e fuori dai guai durante il viaggio: Ercole è forte  al punto da uccidere spesso le persone per sbaglio - e un ubriacone. 

Bute, il più grande apicoltore dell'antichità, è sempre ossessionato dal miele. Giasone non è particolarmente bravo in niente, (al contrario di Odisseo creato secoli dopo) ma è irresistibile per il suo fascino. Medea, come si sa, accecata dall’amore farà delle cose molto brutte.  Comunque Robert Graves aiuta a rendere Il vello d'oro fresco e necessario oggi come la prima volta che qualcuno raccontò la storia di Giasone e degli Argonauti circa tremila anni fa. 



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