22 dic 2016

 

Il male oscuro – Giuseppe Berto

Il male oscuro di Giuseppe Berto (Neri Pozza) uscì nel 1964 dopo una lunga pausa letteraria dell'autore dovuta a una forma di nevrosi, malattia che a quanto pare si rivelò rivoluzionaria per lo scrittore. Il romanzo nasce da questo stato di cose, una sorta di confessione spirituale autobiografica con la quale l'autore spera di essere perdonato per il suo naturale narcisismo, condizione che può condurlo a una deformazione nel raccontare i fatti e le persone reali.



Giuseppe Berto, oltre che scrittore (Il cielo è rosso 1946) era uno sceneggiatore e aveva alla sue spalle diversi insuccessi letterari, dopo la morte del padre per cancro divenne preda di una forte nevrosi. Incominciò la stesura di questo romanzo come forma di liberazione autoanalitica consigliata dal suo psicanalista  Nicola Perrotti  nel 1958. 

Nei suoi momenti di crisi non riusciva a stare solo in una stanza, attraversare una strada, e neanche poteva prendere treni o aerei, anche l'auto lo gettava nel panico. Viveva nel terrore con dolori allo stomaco e malattie immaginarie. Ma soprattutto non riusciva a scrivere: dopo tre romanzi si trovò bloccato, solo la psicoanalisi sarà in grado di liberarlo dal male. Il Perrotti gli consiglierà di tentare qualcosa di nuovo e dopo due mesi di autoreclusione in Calabria ne verrà fuori la prima stesura del Il male oscuro, quasi il racconto della sua malattia. Come cita all'inizio da Eschilo «Il racconto è dolore, ma anche il silenzio è dolore» egli tira fuori un racconto fluviale, quasi senza punteggiatura, sorta di coscienza o flusso interiore, concezione, come dice l'autore, che riprenderà da Svevo e Gadda.

Lo scossa più grave del protagonista su questa sofferenza, nasce dalla sua assenza proprio nel momento in cui il padre moriva: da qui una sorta di senso di colpa con il male che si insinua nella sua testa. Il male è oscuro perché nessuno riesce a trovarlo o riconoscerlo, e quindi curarlo. Egli racconta la sua ricerca nel trovare una ragione, fra conflitti e colpe, errori, peccati d'infanzia, come Lucia detta la Sporca, «una bambina alla quale piaceva farsi guardare e anche toccare» nascondendo il fatto agli onesti genitori «mentre io non ero puro se qualche volta toccavo la Sporca là dove era diversa da me».

Passando poi alla maturità e al volontariato; la sua donna francese, vedova, che lo tradirà, costringendolo ad allontanarsi da Roma e partire per il Sud in una vita solitaria, a vedere gente nuova fra povertà e abbandono, confortato da una figlia cresciuta senza la figura paterna:
"Non potevo sapere che sarebbe venuta proprio in questa stagione e in questa sera, e così ora mi vergogno di puzzare ma ormai che posso farci solo mi viene da piangere e ho un nodo alla gola perciò mi riesce difficile parlare, e anche lei non ha molto da dire a quanto pare, e così ho paura che se ne vada troppo presto e allora le domando tanto per dire qualcosa se per caso sia contenta d’avere nome Augusta e lei ride e dice non molto dato che è un nome da vecchia". 
Identificandosi infine sempre di più con la figura del padre, i suoi gusti e le abitudini, e forse liberandosi dal questo fantasma che lo tormenta riuscendo ad allontanare l'oscura malattia.

Questa sorta di monologo sterminato di quasi 500 pagine senza punti fermi, ne punteggiature a parte le virgole e senza un dialogo diretto, può appare faticoso, ma avanti con la lettura ci si abitua, e il lettore stesso riesce a punteggiare, poiché l'ordine e la chiarezza non mancano. Questa storia si dipana intricandosi e districandosi continuamente, non senza note ironiche che stemperano l'autoconfessione psicanalitica, introducendo sarcasmo e una relativa comicità, come quando dopo la morte del padre, lui unico figlio primogenito, avrà in eredità solo una cravatta, «una cravatta che io stesso avevo regalato al vecchio cinque o sei anni prima, e lui non se l’era mai messa naturalmente, né io me la sono mai messa si capisce» mentre gli altri beni, fra cui una vecchia casa, andranno alla madre e alle sorelle.

La figura del "padre mio" ex maresciallo dell'Arma, poi commerciante di cappelli incapace e sfortunato grafomane, è un invenzione quasi grottesca ma reale e cinica, che spedirà il ragazzo in collegio rifiutandosi di vederlo nelle feste principali ma solo d'estate.

Nonostante Il male oscuro racconti "la più straordinaria delle disgrazie" non troviamo ne tormento, e neppure rabbia, ma una sensazione di irrisione, forse anche della stessa psicoanalisi, con un umorismo che si fonde con gli avvenimenti più tristi. Ma era davvero guarito ?
Egli scriverà che il dolore rimarrà ma non si trasformerà in angoscia aggiungendo «Sono ancora malato e credo che non guarirò mai. Però sono guarito per quel tanto che volevo disperatamente guarire, ossia non ho più paura di scrivere». 

Giuseppe Berto (1914) morirà nel 1978 della stessa malattia incurabile che aveva ucciso suo padre.

Il male oscuro uscirà per Rizzoli nel 1964, dopo pochi mesi vincerà il premio Viareggio e il Campiello, successivamente verrà ristampato per una decina di edizioni diventando un bestseller. Verrà apprezzato da Gadda, cui gli scriverà una prefazione, Berto sarà debitore del titolo tratto da La cognizione del dolore, poi da Buzzati, Carlo Bo, Montanelli, Oreste Del Buono.
Dimenticato dall'editoria per diversi anni, come gran parte degli autori italiani minori, adesso questa eccellente opera della narrativa italiana ritorna il libreria con una postfazione di Emanuele Trevi. L'editore Neri Pozza si appresta a pubblicare prossimamente anche gli altri romanzi di uno dei grandi autori del Novecento italiano.


🎬 Nel 1989 Mario Monicelli ne ricaverà un film con Giancarlo Giannini e Emmanuelle Seigner, vincendo un David di Donatello (1990) per la migliore regia. 
Altre sue opere diventeranno film:
Il cielo è rosso (1950) regia Claudio Gora.
Il brigante (1961) regia di Renato Castellani.
Togli le gambe dal parabrezza (1969 dal racconto La ragazza va in Calabria) regia Massimo Franciosa.
La cosa buffa (1972) regia Aldo Lado, con Ottavia Piccolo.
Anonimo veneziano  (1970) regia Enrico M. Salerno, con Florinda Bolkan e Tony Musante.
Oh Serafina (1976) regia Alberto Lattuada con Renato Pozzetto. 


  • Il libro



Giuseppe Berto 
Neri Pozza 2016
508 pagine 










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