Raccontato in prima persona La vita agra ci narra delle
tribolazioni di un giovane toscano, intellettuale ambizioso, direttore di una
biblioteca provinciale, che a causa del crollo di una miniera dove rimangono
sepolti amici e compagni, si trasferisce a Milano la capitale all'epoca del
boom economico. Nella frenetica Milano degli anni '60 in piena attività
economica e culturale quest'uomo, con passo strascicante e con le scarpe hegeliane che fanno male per le varie peregrinazioni sulle strade caotiche della grande città, combatte una battaglia contro tutto questo fervore che
gli ruota intorno.
O almeno ci prova. Qui vi è la sede della società proprietaria della
miniera che ha avuto l'incidente, perciò vuole tentare di vendicarsi con un
attentato terroristico si direbbe oggi. Milano è la capitale di molte imprese
anche culturali molto organizzate perciò per guadagnarsi da vivere nel
frattempo sfrutterà il suo talento letterario nelle redazioni e nelle
segreterie redazionali.
Ma la grande città è come un freddo meccanismo che genera confusione senza
ideali e senza emozioni, che deviano il narratore dalle sue idee originali
vendicative, divenendo anch'esso parte dell'ingranaggio che segue il flusso
dei suoi abitanti. L'unica cosa che lo salva è la sua ironia tagliente e
anarchica che nella sua solitudine contempla il suo male di vivere
disprezzando il mondo che lo circonda e tenendo alta la sua dignità.
Come Bianciardi il narratore è un libero professionista senza avere contributi
sociali da parte di chi lo assume perché all'epoca non erano obbligatori.
Consuma i suoi magri pasti in piccoli ristoranti a seconda dei prezzi e
chiedendo le mezze porzioni; va al bar a guardare la tv perché non può
permettersela, viene pagato solo se lavora, altrimenti salterebbe i
pasti.
Già sposato con Mara lasciata al paese con un figlio, incontra Anna molto
diversa dalla moglie e se ne innamora perdutamente. Per mantenerle tutti e due
il protagonista fa traduzioni letterarie, lavorando dalla mattina alla sera
duramente, come nella realtà faceva Bianciardi.
... poi per loro era preferibile dar lavoro così, a cottimo, senza
pagarci sopra oneri sociali, mutue, previdenze e altre marchette, senza
rimetterci né la carta, né l'usura della macchina, dei nastri, dei tavoli,
nemmeno il caldo.
La vita agra (Feltrinelli) fa parte delle cosiddetta
trilogia della rabbia,
che comprende
Il lavoro culturale (1957) e
L’integrazione (1960)
una rabbia contro il mondo della cultura, contro Milano stessa, contro la
riduzione della vita sociale, politica, culturale ai soli principi economici
considerati rilevanti su tutti gli aspetti della vita umana e quello che in
seguito si sarebbe chiamato il “terziario avanzato” (o il “quartario” come
scrive l'autore nel libro) ovvero il consumismo e l’egoismo dei piccoli
"impiegatucci" , perciò questo romanzo è più uno sviluppo completo dei
precedenti, abbozzati fra amarezze di tragiche delusioni con una stravagante
ironia che cela il dolore delle speranze perdute.
Il suo dono narrativo appare sicuro evitando pericoli intimamente legati alla
polemica sociale e al sentimentalismo con un comportamento agrodolce di un
astuto cantastorie.
Bianciardi aveva intuito tutto già all'epoca con il consumismo, il precariato
dei lavoratori, la disgregazione dei legami familiari.
Sulle masse impiegatizie ci parla di una tecnica aziendale di "marcamento",
utilizzata per far carriera :
Ho conosciuto una segretaria che sapeva soltanto leccare le buste e i
francobolli, eppure diventò indispensabile, perché fece in modo che il
pensamento e la stesura delle lettere diventassero attività sussidiarie
del leccamento suo .
Sul lavoro precario del narratore-traduttore controllato da parte di
un’impiegata-redattrice con posto di lavoro fisso scrive :
- Benedetto figliolo- mi disse. - Ma perché non ha seguito i miei
consigli? Le avevo detto, no? Fedeltà al testo. E guardi qua. Dove siamo,
dunque?- Sfogliava le mie cartelle tutte corrette a lapis. - Lei mi
traduce: Sotto ragazzi, eccetera. Ora guardi il testo inglese. Dice… - Il
testo dice: Come on boys. Capisce? Lei mi ha invertito il significato.
Come on boys vuol dire venite su ragazzi, e così bisogna tradurre. Lei mi
mette l'opposto, cioè non su, ma sotto -.
Le sue riflessioni critiche sul miracolo italiano si accentuano nell'episodio
del barbone:
Un ubriaco muore di sabato battendo la testa sul marciapiede e la gente
che passa appena si scansa per non pestarlo. Il tuo prossimo ti cerca
soltanto se e fino a quando hai qualcosa da pagare. Suonano alla porta e
già sai che sono lì per chiedere, per togliere. Il padrone ti butta via a
calci nel culo, e questo è giusto, va bene, perché i padroni sono così,
devono essere così; ma poi vedi quelli come te ridursi a gusci opachi,
farsi fretta per scordare, pensare soltanto meno male che non è toccato a
me, e teniamoci alla larga perché questo ormai puzza di cadavere.
Nonostante il protagonista cerchi con disperazione di mantenersi estraneo a
questa realtà per comprendere la vera ragione della venuta a Milano, la
vendetta contro l’industria mineraria, le sue motivazioni si modificano
attraverso le esigenze per poter afferrare le opportunità, economiche ed
esistenziali, che la città offre.
E’ il disfacimento di un ideale, una profonda rassegnazione che si estingue
dentro; l’anarchico determinato e pieno di entusiasmo, viene stretto dai
tentacoli di quel sistema che egli stesso voleva demolire.
Il romanzo affronta il tema dell'alienazione e della disillusione dei giovani degli anni '50, costretti a una vita priva di senso e di prospettive. La scrittura di Bianciardi è caratterizzata molto da un linguaggio colloquiale e ironico che descrive con precisione e lucidità la realtà dell'Italia dell'epoca.
L'autore analizza anche le differenze sociali e di classe presenti nella società italiana, mostrando la lotta tra i ceti meno abbienti e le élite economiche, mostrando con una certa amarezza e spietatezza la realtà del paese del dopoguerra.
Il libro uscì nel 1962 decretando all'autore un enorme successo, notorietà che
si ampliò nella riduzione cinematografica del film
La vita agra
di Carlo Lizzani nel 1964 con Ugo Tognazzi protagonista e lo stesso autore in
un piccolo cameo.
A leggerlo oggi appare molto attuale anche se parecchie cose sono cambiate, ma
il precariato che racconta con ironia Bianciardi è sempre presente anche nelle
case editrici di oggi.
L'editore Il Saggiatore ne
Il cattivo profeta ripropone in un unico volume tutti i romanzi, i saggi, i racconti e i
diari, le molte vite di un irregolare entrato nel canone; dagli anni giovanili
dell'impegno nella natia Grosseto - da cui nacquero il libro-inchiesta
I minatori della Maremma e il primo romanzo
Il lavoro culturale - al trasferimento a Milano; dal racconto
del lato oscuro dell'industria editoriale nell'integrazione al capolavoro
La vita agra, in cui confluirono tutta l'alienazione del periodo trascorso nel capoluogo
lombardo.
Mentre se siete incuriositi dalla figura di Luciano Bianciardi vi consiglio la
lettura della scorrevole biografia di Pino Corrias
Vita agra di un anarchico. Luciano Bianciardi a Milano, (Feltrinelli) che ricostruisce alcuni fatti salienti della sua vita privata
e letteraria.
Inoltre da consigliare:
Non leggete i libri, fateveli raccontare
Non leggete i libri, fateveli raccontare è un piccolo, provocatorio e
irriverente capolavoro: a cinquant’anni di distanza, in un’epoca in cui la
superficialità sembra ormai l’unica via sicura per il successo, riscoprire
Bianciardi è un modo per ridere con intelligenza di quello che in fondo
siamo sempre stati, ben prima dei social network. «Questo manuale in sei
stanze e in sei risate è un pezzo di bravura, declinato in un presente che
ancora ci riguarda». Pino Corrias
La vita agra di Luciano Bianciardi, Feltrinelli
Il cattivo profeta, il Saggiatore 2018
Vita agra di un anarchico. Luciano Bianciardi a Milano di Pino Corrias,
Feltrinelli
Commenti