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Una recensione approfondita del saggio di Deirdre Mask "Le vie che orientano"che rivela il potere nascosto degli indirizzi urbani
Questa recensione esplora il saggio di Deirdre Mask che rivela come gli indirizzi stradali siano molto più che semplici coordinate: sono specchi della storia, strumenti di potere e componenti essenziali dell'identità personale e collettiva.
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«Vogliamo sapere, per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare? Sa, è una semplice informazione».
Così si esprimeva Totò in una celebre scena di "Totò, Peppino e la malafemmina" (1956), evidenziando quello che Liza Candidi definisce nella prefazione come "il paradosso di volersi orientare senza avere direzioni prescritte, di trovare una collocazione senza restare immobili".
Nel suo affascinante saggio "Le vie che orientano" (Bollati Boringhieri), la giornalista americana Deirdre Mask ci conduce in un viaggio sorprendente attraverso quattro continenti per esplorare le origini e le implicazioni dei nomi delle strade in cui viviamo, rivelando come questi non siano affatto semplici strumenti di orientamento.
Contrariamente a quanto molti potrebbero pensare, gli indirizzi non esistono principalmente per ricevere la posta. Mask dimostra brillantemente come essi abbiano avuto significati complessi e stratificati nel corso della storia umana, rappresentando un elemento fondamentale dell'identità collettiva e personale.
La ricerca dell'autrice si rivela tutt'altro che banale, toccando argomenti che spaziano dall'antichità ai giorni nostri, con risvolti politici, sociali e persino razziali.
Nell'antica Roma, sebbene alcune strade prendessero il nome dai loro costruttori o dalle attività commerciali che vi si svolgevano (come il "Vicus Unguentarius" o "via dei profumi"), la maggior parte dei circa cento chilometri di vie erano senza nome.
Come si orientavano dunque i romani? Sorprendentemente, in modo simile ad alcuni abitanti contemporanei del West Virginia: attraverso indicazioni e riferimenti.
"Un messaggio sul collare di uno schiavo esorta il lettore a riportarlo nella bottega di un barbiere vicino al tempio di Flora", riporta Mask, illustrando un sistema di orientamento basato su punti di riferimento piuttosto che su nomi codificati.
La denominazione delle strade ha spesso avuto risvolti politici significativi. Mask ci porta nella Germania nazista, dove i nomi delle strade furono modificati per facilitare l'identificazione delle abitazioni degli ebrei, rendendo più efficiente il loro rastrellamento verso i campi di sterminio.
L'autrice evidenzia anche curiosi collegamenti internazionali, come la "Winston Churchill Street" di Teheran ribattezzata dagli iraniani in onore del rivoluzionario irlandese Bobby Sands, con grande sgomento dell'ambasciata britannica.
Particolarmente divertente è il capitolo dedicato ai toponimi londinesi, che rappresentano "un delizioso viaggio nel tempo". Strade come Honey Lane, Bread Street e Poultry (miele, pane, pollame) rievocano i mercati che un tempo caratterizzavano quei luoghi.
Gli inglesi, osserva Mask, "si vantano spesso dei loro toponimi sconci", che richiedono familiarità con lo slang locale per essere compresi. L'autrice racconta di autobus turistici che si fermano per fotografare cartelli come "Cracknuts Lane" ("vicolo dell'imbecille") o "Slutshole Road" ("via del buco delle sgualdrine"), alcuni dei quali sono stati successivamente modificati.
Nel XVIII secolo, la regina Maria Teresa d'Austria ordinò il conteggio di tutti gli uomini abili al servizio militare nei suoi territori. Per risolvere il problema dell'identificazione delle abitazioni, fece numerare le case, dando inizio a una delle più importanti innovazioni dell'Illuminismo.
"Se lo stato non ti numerava, se non ti arruolava, se non ti vedeva, allora non diventavi di sua proprietà: eri davvero un uomo libero", scrive Mask, evidenziando il paradosso di una innovazione che, se da un lato facilitava l'orientamento, dall'altro rendeva i cittadini più facilmente tracciabili dallo stato.
A Philadelphia, l'introduzione del sistema di "numeri dispari su un lato di una strada, numeri pari sull'altro" fu un'importante innovazione, ma la vera finalità della numerazione rimane essenzialmente "disumanizzante".
Nella Calcutta contemporanea, l'assegnazione di indirizzi nei bassifonni diventa un mezzo di emancipazione sociale, permettendo agli abitanti di richiedere passaporti e aprire conti bancari.
"Senza indirizzo, è quasi impossibile aprire un conto corrente. E senza conto corrente non puoi mettere da parte dei risparmi, ottenere un prestito, ricevere una pensione statale".
A Tokyo, come lamentava il critico letterario francese Roland Barthes, le strade non hanno nome: "Nella capitale giapponese, invece di dare un nome alle vie, si numerano gli isolati; le vie sono semplicemente gli spazi tra gli isolati". Un sistema che risulta disorientante per gli occidentali ma perfettamente funzionale per i giapponesi.
A New York, il nome della strada può influenzare significativamente il valore immobiliare: vivere in un "Boulevard" implica avere molti vicini rispetto a chi vive in un "Lane".
Mask dedica particolare attenzione anche ai senza tetto: "Per definizione, una persona senza fissa dimora non ha una dimora. Ma un indirizzo non è una dimora. Oggi, un indirizzo è un'identità: il modo in cui la società verifica non solo che sei una persona, ma anche che sei la persona che dici di essere".
"Le vie che orientano" risponde in modo brillante e inaspettato alla domanda "Perché gli indirizzi stradali sono importanti?", offrendo un'opera straordinaria che fonde storia sociale e attualità, rivelando come qualcosa di apparentemente banale come un indirizzo stradale possa raccontare storie profonde di potere, identità e controllo.
Il libro consigliato
Titolo: LE VIE CHE ORIENTANO
Autore: Deirdre Mask
Editore: Bollati Boringhieri
Anno: 2020
Pagine: 402
Traduzione: Francesca Pe'
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