21 feb 2019

 

Simenon, il Nobel e i romanzi duri senza il commissario Maigret

Georges Simenon e i romanzi duri. La fortuna con il personaggio del commissario Maigret ma lo scrittore aspirava al Premio Nobel

Infaticabile produttore di romanzi apparsi in riviste popolari con vari pseudonimi, lo scrittore belga Georges Simenon (febbraio 1903 - settembre 1989) si fece le ossa come reporter prima di arrivare al successo con il commissario Maigret nel 1931. I circa 100 romanzi sul commissario vennero scritti nel corso di quasi mezzo secolo, mettendolo alla pari dei grandi autori inglesi di gialli. Poi tentò il grande salto con i "romanzi duri" introducendo un originale stile psicologico. Lo scrittore aspirava a una letteratura più alta che non gli venne mai concessa dalla critica.  





Se da una parte il personaggio del commissario Maigret gli procurò la fama popolare che cercava, dall'altra Simenon aspirava ad un riconoscimento maggiore da parte della critica.
Incomincerà a prendersi una breve pausa fra un Maigret e l'altro, e si metterà a scrivere i cosiddetti "romans durs" romanzi duri, storie psicologiche senza il commissario, a partire da La locanda d'Alsazia (1931) anche se in questo romanzo opera un altro commissario chiamato Labbé un cognome che ritornerà in un personaggio ne I fantasmi del cappellaio un decennio dopo.




Pur essendo romanzi lodati da alcuni, altri critici non ne erano convinti "Il più delle volte, Simenon veniva paragonato a Joseph Conrad e a Balzac, al primo per l’esotismo delle situazioni e la fiacchezza dei personaggi, al secondo per la lunghezza del romanzo, la complessità della composizione".

Simenon comunque continuava la sua ricerca nello scrivere il "grande romanzo" che secondo lui lo avrebbe messo nel pantheon dei grandi. Essere poi pubblicato da Gallimard, come successe, con le sue copertine bianche in mezzo ad autori come Marcel Proust, Paul Valery e Andrè Gide sarebbe stato "una vera e propria meta". 

Finché lo scrittore rimase tra le sue, la critica gli fu favorevole, ma quando pretese di scrivere il "grande romanzo" che gli veniva chiesto cominciarono le incertezze.

All'uscita de Il testamento Donadieu (1937) Simenon cominciò a pagarne amaramente le conseguenze. Le recensioni non furono felici, lo considerarono raffazzonato, debole, conformista, squilibrato. Ma una di queste colpiva il segno.

Il critico René Lalou osservò «Resta da vedere se riuscirà a liberarsi dal vincolo della morte violenta che finora ha pesato su tutti i suoi scritti, o se invece necessita solamente di quella scossa iniziale per mostrare la sua potenza visionaria».

D'altra parte Il testamento Donadieu la sua prima vera opera letteraria, iniziava con una morte enigmatica, cosi come in gran parte dei suoi romanzi duri c'era sempre un cadavere con cui fare i conti. 


Ma i lettori, anche quelli fuori dalla Francia, attendevano con trepidazione le inchieste del commissario Maigret "la base del suo successo risiedeva nel numero dei titoli pubblicati ogni anno e non nel numero delle copie vendute per titolo. Era il suo modo di inondare il mercato. I suoi lettori fedeli facevano appena in tempo a finire un romanzo e subito ne veniva annunciato un altro in uscita". L’autore dei Maigret vendeva in media il doppio o il triplo dell’autore dei “romanzi duri”. 


Gli stessi critici inglesi lodarono il suo stile che riusciva ad appassionarli con poche parole, mettendo in rilievo l’atmosfera e i personaggi.
Julian Symons, critico letterario inglese, disse che "Il loro creatore è, per certi aspetti, il più straordinario fenomeno letterario del secolo: ma il suo talento è quello di un chirurgo letterario anziché quello di un grande creatore".

Tutti i suoi personaggi hanno in un primo momento una vita banale cui si sottopongono alla loro routine fino al giorno in cui scoprono una nuova verità che estirpa  loro ciò che hanno di più segreto, di non riconosciuto. Durante la carriera letteraria di Simenon, molti hanno annunciato il suo declino, la sua decadenza, persino la sua scomparsa.



Arnoldo Mondadori e Georges Simenon

Ieri come oggi, il suo lavoro è molto presente. Manifestando un modesto trionfo. Naturalmente, Simenon è stato a lungo considerato un romanziere popolare. Forse perché lontano dalla moda letteraria, questo non gli importava, ma fu in grado di cogliere la condizione umana più comune e più strana, apparendo secondo alcuni, come un seguace di Zola o Balzac.

Egli respinse questa etichetta: "Balzac è interessato quasi esclusivamente, come una molla psicologica, al denaro, alle ambizioni, al sociale, cose che mi sono assolutamente estranee. Il mio lavoro è esattamente l'opposto di quello di Balzac. Non vedrai mai nel mio lavoro problemi di soldi o ambizione."

Il Simenon dei romanzi duri senza Maigret verrà riscoperto con attenzione più avanti conferendogli il posto che si meritava nella letteratura.




Georges Simenon (1963) photo by Erling Mandelmann



Simenon e il Premio Nobel

A 69 anni Simenon - malgrado il successo mondiale - era risentito per non aver ricevuto il premio letterario per eccellenza: il Nobel. Il suo nome circolava spesso negli ambienti già dalla fine degli anni '40. Ma veniva sempre scartato. 

Nel 1947, secondo quanto previsto da egli stesso avrebbe dovuto ricevere il premio. Anni dopo avrebbe spiegato: «Era quasi fatta. Allora ho annunciato tramite la stampa che, se me l’avessero dato, lo avrei rifiutato. Non sono un animale da competizione. Non voglio alcuna medaglia». 

Il premio però venne dato ad un altro francese Andrè Gide, fra l'altro un suo grande estimatore. L’ingiustizia era dovuta forse alla sua reputazione di scrittore di romanzi popolari e polizieschi, un sottogenere, come lo definivano alcuni, che l’Accademia svedese non gradiva.

Alcuni giorni dopo la sua scomparsa nel settembre 1989 su Le Figaro uscì un articolo intitolato "Quei cretini del Nobel che non mi hanno incoronato”, in cui si descrive una sorta di j’accuse contro il comitato svedese. 

In un intervista sul Il Messaggero (2017) il figlio John dice: «Senza ombra di dubbio è stato un rimpianto non averlo vinto. Sarebbe stato l’unico giusto riconoscimento al valore letterario e culturale di tutta la sua opera. A noi figli diceva sempre che tutti i premi letterari non sono altro che medaglie da mettere al collo delle mucche “sono le vacche e i tori gli animali a cui si da una medaglia...”. Però il Nobel lo avrebbe voluto vincere; forse è stato il suo unico, profondo, rammarico, dal punto di vista artistico, s’intende».





D'altra parte non si considerava un uomo di lettere, non partecipava a cene e ambienti letterari. Si trovò obbligato nel 1958 a rappresentare il Belgio a una famosa esposizione universale a Bruxelles, (dove venne inaugurata la simbolica struttura d'acciaio chiamata Atomium). Simenon ricorda che Jean Cocteau pronunciò il messaggio francese, un premio Nobel americano quello degli Stati Uniti.

Nelle Memorie intime scrive: « Mi hanno pregato con insistenza di rappresentare il Belgio e ho finito per accettare, anche se non mi considero un personaggio capace di rappresentare qualcosa. Questi «messaggi», in fondo, sono delle conferenze più o meno ufficiali, destinate poi alla pubblicazione. Così, ho scritto quello che è diventato Le roman de l’homme, e l’ho redatto in uno stile austero».

Nella serata di gala non si troverà a suo agio con la sciarpa dell’ordine della Corona o dell’ordine di Leopoldo, con lo smoking o forse un frac, allergico a titoli e onorificenze. Verso la fine della serata si era acceso una pipa e una signora di una certa età lo redarguì osservando in tono aspro: «Signor Simenon, quando si porta l’onorificenza che porta lei, è sconveniente fumare la pipa». "Eccomi bell’e sistemato! O la pipa o gli onori, insomma...".



Dei romanzi duri si contano oltre cento libri pubblicati in Italia da Mondadori dagli anni '40 ai '60.
L'Italia è stato il "Paese di Simenon" prima nazione a pubblicare, dopo la Francia, le sue opere «Amava profondamente l’Italia e considerava Arnoldo Mondadori uno dei suoi migliori amici» dirà il figlio John.


La casa editrice Adelphi dal 1985 si è proposta di ristampare le sue opere con nuove traduzioni, continuando il lavoro di farli uscire periodicamente. Dalla bibliografia curata da Claude Menguy, risulta che Simenon ha firmato col suo nome ben 252 opere di narrativa; altre 201 sotto 17 diversi pseudonimi, ai tempi dei suoi anni da giornalista, il più noto è Georges Sim; poi i racconti, gli scritti autobiografici, i reportage.

Giorgio Pinotti editore capo in Adelphi spiegava in un articolo su Pagina99 che lo scrittore nella fase preparatoria entrava in “état de roman”, in stato di romanzo con nausee, vertigini, malesseri cui seguiva la fase liberatoria della scrittura. "Quasi una possessione psicosomatica",  aggiungiamo anche una certa scaramanzia indossando sempre una una camicia sportiva scozzese a grandi scacchi neri su fondo rosso, comprata a New York. Non trascurava, inoltre, di pesarsi prima e dopo la stesura di un romanzo. Calcolò che ogni libro gli costava un litro e mezzo di sudore.


Alcuni "romanzi duri" scritti da Simenon dove non figura Maigret :



L'uomo che guardava passare i treni (1938)

Uomo di famiglia onorevole Kees Popinga  appartiene alla borghesia di Groningen (Paesi Bassi). È impiegato di una ditta di forniture navali. Vive una vita senza storia e un po 'triste. I viaggi - osserva i treni che passano con una strana angoscia che può farti pensare alla nostalgia - l'alcol e le donne fanno parte di quei desideri che reprime accendendo un sigaro o giocando a scacchi . Un gioco le cui regole conosce bene e la cui logica fatalità permea gli eventi che sconvolgeranno la sua vita.





La finestra dei Rouet (1945)

In un piccolo edificio nel Faubourg Saint-Honore (Parigi), che appartiene alla sua famiglia, Dominique conduce una vita limitata e scialba. Gli piace spiare le altre vite nelle case di fronte, specie la casa dei Rouet, una famiglia di ricchi industriali. Un giorno, dalla sua finestra, mentre osserva gli appartamenti dei Rouet, vede che qualcuno sta morendo. Invece di aiutare l'uomo che pare soffrire di cuore, una donna versa le gocce della sua medicina ai piedi di una pianta verde facendolo morire. Da quel momento Dominique è l'unica a sapere la verità.



Tre camere a Manhattan (1946)

François Combe, detto Frank, è un attore teatrale che ha avuto i suoi giorni di gloria in Francia. Per sei mesi, ha vissuto a Manhattan sperando di dare una seconda svolta alla sua carriera, ma anche perché si è separato dalla moglie - anche lei attrice - che lo ha lasciato per un uomo molto più giovane di lui.
A Manhattan, Frank senza lavoro; passa la maggior parte del tempo da solo, vagando per le strade. Una sera, in un bar, incontra Kathleen Miller, conosciuta come Kay, una donna austriaca di trentadue anni. Non ha un posto dove stare e, mentre Frank si sente attratta da lei, si offre di aiutarla. Prendono una stanza in un albergo e fanno l'amore tutta la notte, dimenticando per un po ' i loro rispettivi problemi e tutto ciò che li circonda...



I fantasmi del cappellaio (1948)

A La Rochelle (Charente-Inferieure, oggi Charente-Maritime, Francia), l'autunno è piovoso, le strade buie e la paura quasi palpabile. Dal mese di novembre, cinque donne di mezza età sono state assassinate in città. Jeantet, un giovane giornalista raccoglie lettere anonime che invia l'assassino commentandole. M. Labbé, un uomo di sessant'anni, rispettabile cappellaio, va tutte le sere al Café des Colonnes, dove gioca a bridge con gli amici. Non indugia mai a lungo, perché deve prendersi cura di Mathilde, sua moglie, che - per quindici anni - non ha lasciato mai il suo letto. Nessun medico o domestico è autorizzato ad avvicinarsi a lei. Costringe il marito a prendersi cura di lei, lo tratta come uno schiavo e gli rende la vita difficile. L'unica visita che Mathilde accetta è quella dei suoi amici del collegio, che di solito si incontrano a casa sua una volta all'anno, il 24 dicembre.
Di fronte alla bottega di Labbè si trova quella di Kachoudas un sarto originario del Medio Oriente e non è raro che i due si spiano l'uno con l'altro, ciascuno guardando nelle stanze e nella bottega, almeno finchè non succede qualcosa d'insolito che insospettisce Kachoudas...




L'orologiaio di Everton (1954)

Dave, un orologiaio americano, che ha lavorato in una fabbrica di orologi a Waterbury (Connecticut, USA) si trova separato da una donna volubile che gli ha lasciato un bambino di sei mesi. Da quel momento, Dave sacrifica la sua vita per cercare di essere un padre ideale rivolto esclusivamente alla felicità di suo figlio. Insieme a lui ha aperto un piccolo negozio di orologi a Everton, un tranquillo villaggio nello stato di New York.
Dave si accontenta di vivere, senza fretta, senza fare domande, senza nemmeno essere pienamente consapevole delle ore che passano così simili agli altri. Pensa di aver conquistato l'affetto di suo figlio, un adolescente che apparentemente sembra non presentare problemi, almeno fino ad ora...



Il piccolo libraio di Archangelsk (1956)

Jonas Milk, viene da Arkhangelsk, in Russia, dove visse solo un anno. Ora si è stabilito in una piccola città della provincia francese. Un uomo timido e schivo con uno sguardo infantile, gestisce una piccola impresa di libri usati e francobolli. Per due anni, è stato sposato con Gina che era la sua donna delle pulizie prima di diventare sua moglie. La coppia ha pochi contatti, ma apparentemente tranquilla. Jonas tiene a Gina e non gli fa il minimo rimprovero, nemmeno quello delle sue infedeltà. Jonas libraio e filatelico del Mercato Vecchio - che è riuscito a mescolarsi con gli altri per dimenticare la sua condizione di straniero - potrebbe essere un modello di integrazione sociale ... fino al giorno in cui la bella e seducente Gina scompare.




vedi di Simenon gli articoli sugli ultimi romanzi duri usciti per Adelphi 


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(Rif. e note Georges Simenon: una biografia di Pierre Assouline, Odoya edizioni)







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